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III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C) DOMENICA GAUDETE

1367022355456-Benito_ManuelE NOI CHE COSA DOBBIAMO FARE?

Dal Vangelo secondo Luca Lc 3,10-18

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Parola del Signore.

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SANTA LUCIA VERGINE E MARTIRE

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SANTA LUCIA
VERGINE E MARTIRE

Lucia nacque a Siracusa nell’anno 281 da nobilissima e ricchissima famiglia. Rimasta orfana di padre sll’età di cinque anni venne educata nella religione cristiana dalla pia e saggia Eutichia, sua madre.

Fatta grandicella e accesa di puro amore di Dio, decise all’insaputa della madre di mantenere perpetua verginità. Ignorando questo segreto la buona Eutichia, come allora usavasi universalmente, non tardò d interessarsi per trovare alla figliuola uno sposo che convenisse. Era questi un giovane nobile, ricco e di buone qualità, però non cristiano. Lucia si turbò: ma non volendo manifestare il suo segreto alla madre, cercò pretesti per tramandare le nozze; ed intanto confidava nella preghiera e nella grazia.

Ed ecco quanto avvenne: Eutichia fu presa da una grave malattia, per cui non bastando né medici nè medicine, pér consiglio di Lucia, mamma e figlia decisero di portarsi in pellegrinaggio a Catania, alla tomba di S. Agata, per ottenere la guarigione.

Giunte a Catania, e prostratesi in preghiera presso quelle sacre reliquie, Agata fece intendere a Lucia di rimanere fedele al voto fatto e di contenere, se necessario, anche il martirio per amor di Gesù. La madre ottenne la guarigione, ma una grazia maggiore ebbe Lucia: il suo avvenire era irrevocabilmente deciso.

Tornate a Siracusa, Lucia si confidò con la madre ed ottenne che la lasciasse libera nella scelta del suo stato.

Il pretendente deluso, montò subito sulle furie e giurò vendetta, appena seppe che il rifiuto di Lucia proveniva dal fatto di essere cristiana. Si presentò quindi al proconsole romano Pascasio e accusò la giovane come seguace della religione cristiana e perciò ribelle agli dèi ed a Cesare. Tradotta davanti al proconsole, si svolse un dialogo drammatico, nel quale rifulsero la fermezza e costanza della martire. Neppur la forza valse a smuoverla, poiché Gesù rese impotenti i suoi nemici. Fu martirizzata il 13 dicembre del 304. La festa cade in prossimità del solstizio d’inverno (da cui il detto “santa Lucia il giorno più corto che ci sia”).

La salma fu posta nelle Catacombe, dove sei anni dopo sorse un maestoso tempio a lei dedicato.

Si dice che a S. Lucia venissero cavati gli occhi e che le fossero immediatamente restituiti dal Signore. Per questa ragione e per lo stesso suo nome che significa Luce, essa è invocata come protettrice degli occhi.

Recitiamo un atto di dolore per i nostri peccati. 

Esaudiscici, o Dio, nostro Salvatore, affinchè, come ci rallegriamo per la beata Lucia vergine e martire, così siamo ammaestrati nel’affetto della pia devozione.

II DOMENICA DI AVVENTO

seconda
DAL VANGELO DI GESÙ CRISTO SECONDO LUCA 3,1-6
Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!

GESÙ RACCONTA LA PARABOLA DELLE MINE

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I DSCEPOLI DI GESU’ PENSAVANO CHE IL REGNO DI DIO DOVESSE MANIFESTARSI DA UN MOMENTO ALL’ALTRO
DAL VANGELO SECONDO LUCA (Lc 19,11-28)

In quel tempo, Gesù disse una parabola, perché era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il Regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro. Disse dunque: «Un uomo di nobile famiglia partì per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio ritorno”. Ma i suoi cittadini lo odiavano e mandarono dietro di lui una delegazione a dire: “Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”. Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose: “Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. E quei miei nemici, che non volevano che io diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me”». Dette queste cose, Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. Parola del Signore

COMMENTO

Erano molti ad immaginare con la venuta di Gesù la realizzazione del Regno di Dio ma di natura temporale. Anche tra gli Apostoli era periodicamente presente questa convinzione, probabilmente per l’influenza di qualcuno del gruppo molto interessato a creare un vero esercito per sconfiggere i dominatori romani.

Il Signore, ripetevano, dopo avere abbattuto il potere oppressore di Roma, avrebbe fatto ingresso trionfante nella città santa. Essi, inoltre, speravano che, quando fosse arrivato quel momento, avrebbero occupato dei posti di prestigio nel Regno.

Questa loro speranza, così lontana dalla realtà, esprimeva una mentalità diffusa in molti ambienti ebraici dell’epoca. Per sradicare questo errore, Gesù espose questa parabola.

La parabola tratta di un uomo di nobile stirpe che partì per un paese lontano per ricevere l’investitura regale. I re dei territori dipendenti dall’Impero Romano ricevevano il potere regale dalle mani dell’imperatore e spesso erano costretti a recarsi a Roma.

Nella parabola l’illustre personaggio lasciò l’amministrazione del paese a dieci uomini di sua fiducia e partì per ricevere l’investitura. Consegnò loro dieci mine e la mina non era una moneta di conio, ma un’unità di conto: il suo valore equivaleva a trentacinque grammi d’oro.

Un vero tesoro consegnò ad ognuno dei dieci. Questi uomini ricevono un mandato: “Impiegatele fino al mio ritorno”.

Si trattava di far fruttare quel tesoro che avevano ricevuto ed essi adempirono all’incarico: si prodigarono per il loro signore per anni…

E questo è quanto continua a fare il cristianesimo dal giorno della Pentecoste, dopo che ebbe ricevuto il dono immenso dello Spirito Santo, inviato da Gesù e con esso l’infallibile Parola di Dio …

In questi venti secoli è stato fatto molto nella, si è lavorato anche bene, ma non sono mancati errori e cedimenti. Sempre ci sono stati uomini che hanno mostrato regresso, paure, incertezze, anche se non manca, al tempo stesso, coraggio e generosità.

La vita che abbiamo ricevuto in dono è un tempo per far fruttare i beni divini. Tocca a noi ora, a ogni cristiano, far rendere il tesoro di Grazie che il Signore ha lasciato nelle nostre mani. Questo è il nostro mandato finché il Signore non torni per ciascuno nel momento della morte.

Dobbiamo darci da fare con impegno perché il Signore sia presente in tutte le realtà umane.

Nella parabola Gesù inserisce una frase che si riferisce a se stesso, riguardo quei cittadini di quel paese che “Lo odiavano e gli mandarono dietro un’ambasciata a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi”.

Gesù dovette inserire con dolore questa frase nel racconto, perché si riferisce a se stesso: è Lui l’uomo illustre che parte per terre lontane.

Raccontando questa parabola Gesù provava molta amarezza, vedeva negli occhi di molti farisei un odio crescente e il rifiuto più assoluto.

Quanto più manifestava bontà e misericordia, tanto più aumentava l’incomprensione che trapelava da molti volti. Dovette risultare ben duro al Maestro un’opposizione così decisa e violenta, che culminerà, qualche tempo dopo nella Passione.

Nella parabola Gesù premia quanti hanno obbedito e corrisposto alla sua volontà, mentre punisce severamente chi ha sotterrato i doni divini per vivere disordinatamente. Così i più buoni e onesti ricevono maggiore Grazia, i superficiali ed incuranti della loro Fede perdono anche quello che avrebbero potuto ricevere in futuro. Questo significa:

“A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha”.

PADRE NOSTRO

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PADRE NOSTRO

Non dire: PADRE
se ogni giorno non ti comporti da figlio.
Non dire: NOSTRO
se vivi soltanto del tuo egoismo.
Non dire: CHE SEI NEI CIELI
se pensi solo alle cose terrene.
Non dire: VENGA IL TUO REGNO
se lo confondi con il successo materiale
Non dire: SIA FATTA LA TUA VOLONTA’
se non l’accetti anche quando è dolorosa.
Non dire: DACCI OGGI IL NOSTRO PANE QUOTIDIANO
se non ti preoccupi della gente che ha fame.
Non dire: PERDONA I NOSTRI DEBITI
se non sei disposto a perdonare gli altri.
Non dire: NON CI INDURRE IN TENTAZIONE
se continui a vivere nell’ambiguità.
Non dire: LIBERACI DAL MALE
se non ti opponi alle opere malvagie.
Non dire: AMEN
se non prendi sul serio le parole del
PADRE NOSTRO.

FERMATI

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FERMATI

Fermati un attimo, ascolta quello che hai intorno, non chiudere mai i tuoi occhi se non è necessario, affronta la vita in tutte le sue visioni, respira l’aria, perchè quella è tua e di nessun altro, nessuno è meglio di te, perchè tu sei l’unico disegnatore della tua vita, sei la persona che aspetta che piova per piangere in due, sei il pastello che colora la tua strada, l’acqua che rinfresca la tua giornata, sei il musicista della tua colonna sonora, lo scrittore della tua giornata, il pittore del quadro in cui vivi, tu sei tutto quello che ti circonda, la vita e tua, il resto è solo un contorno….

PREGHIERA SEMPLICE DI SAN FRANCESCO

preghiera-semplice (1)

OH! SIGNORE, FA DI ME UNO STRUMENTO DELLA TUA PACE:

Dove è odio, fa’ ch’io porti l’Amore.
Dove è offesa, ch’io porti il Perdono.
Dove è discordia, ch’io porti l’Unione.
Dove è dubbio, ch’io porti la Fede.
Dove è errore, ch’io porti la Verità.
Dove è disperazione, ch’io porti la Speranza.
Dove è tristezza, ch’io porti la Gioia.
Dove sono le tenebre, ch’io porti la Luce.
O Maestro, fa’ ch’io non cerchi tanto:
Essere consolato, quanto consolare.
Essere compreso, quanto comprendere.
Essere amato, quanto amare.
Poiché è
Dando, che si riceve;
Perdonando, che si è perdonati;
Morendo, che si resuscita a Vita Eterna.

ciao

A TUTTI UNA FELICE SERATA