Archivi del mese: dicembre 2015

PRESENTAZIONE DI GESU’ AL TEMPIO

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LUCE PER RIVELARTI ALLE GENTI.

Dal Vangelo secondo Luca (Lc 2,22-35)

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la Legge di Mosè, Maria e Giuseppe portarono il Bambino Gesù a Gerusalemme per presentarlo al Signore -come è scritto nella Legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore»- e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore. Ora a Gerusalemme c’era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e pio, che aspettava la consolazione d’Israele, e lo Spirito Santo era su di lui. Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio e, mentre i genitori vi portavano il Bambino Gesù per fare ciò che la Legge prescriveva a suo riguardo, anch’egli Lo accolse tra le braccia e benedisse Dio, dicendo:

«Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo
vada in pace, secondo la tua parola,
perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza,
preparata da Te davanti a tutti i popoli:
luce per rivelarti alle genti
e gloria del tuo popolo, Israele».

Il Padre e la Madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di Lui. Simeone li benedisse e a Maria, sua Madre, disse: «Ecco, Egli è qui per la caduta e la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione -e anche a Te una spada trafiggerà l’anima-, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori». Parola del Signore

RIFLETTIAMO

“Il Padre e la Madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di Lui”.  Lo stupore di Maria e Giuseppe era di incanto verso il Bambino Gesù, perché la Vergine aveva sentito personalmente dall’Arcangelo Gabriele l’Onnipotenza del Bambino e non poteva affatto scoprire nelle parole degli altri uomini, anche di Simeone, una Verità che già conservava nel suo Cuore.

In Lei cresceva l’ammirazione verso suo Figlio, questo era lo stupore della Madonna, stupore che deve colpire anche noi quando meditiamo la vita di Gesù e consideriamo i suoi portentosi miracoli.

Se non nasce in noi questo stupore inteso come meraviglia, miracolo, bellezza, entusiasmo, sorpresa verso il Signore, c’è da migliorare.

Il Bambino che contempliamo in questi giorni nel Presepe è il Redentore del mondo e di ciascun uomo. È venuto, anzitutto, per darci la vita eterna, come preludio già della nostra esistenza terrena e come possesso pieno dopo la morte.

Si fa Uomo per convertire i cuori, per salvare ciò che era perduto, per dare la propria vita in riscatto di molti.

Il mondo oggi si trova in piena agonia morale per la lontananza da Gesù, per il rifiuto del suo Vangelo, per l’orgoglio e l’egoismo.

I grandi problemi sociali che affliggono l’umanità non potranno essere risolti senza il ricorso alla Legge di Dio, è questa l’unica soluzione.

La vera e ultima soluzione perché giustizia e pace si istaurino nel mondo risiede nel cuore umano. Infatti l’uomo, quando si allontana da Dio, costituisce se stesso in fonte di schiavitù radicale dell’altro uomo, e sottopone i suoi simili a ogni sorta di oppressione.

Pertanto non possiamo dimenticare in alcun momento che quando -attraverso l’apostolato personale- procuriamo di rendere più cristiano il mondo intorno a noi, stiamo allo stesso tempo trasformandolo in un mondo più umano.

E, quando facciamo in modo che l’ambiente in cui viviamo -sociale, familiare, lavorativo- sia più giusto e umano, stiamo creando le condizioni perché Gesù Cristo sia più facilmente conosciuto ed amato.

Può dirsi di noi che, nell’ambiente sociale e professionale, stiamo costruendo davvero, con parole e con fatti, un mondo più giusto e più umano?

LA SACRA FAMIGLA DI GESÙ, MARIA E GIUSEPPE

Gesù cresceva in sapienza, età e Grazia davanti aDio e agli uominianta famigliaGesù dodicenne al tempio. Duccio di Buoninsegna, Duomo di Siena.

Gesù è ritrovato dai genitori nel tempio in mezzo ai maestri.

Dal Vangelo secondo Luca  (Lc 2,41-52)

I genitori di Gesù si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando Egli ebbe dodici anni, vi salirono secondo la consuetudine della festa. Ma, trascorsi i giorni, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendo che Egli fosse nella comitiva, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di Lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni Lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai maestri, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti, e sua Madre gli disse: «Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e Io, angosciati, Ti cercavamo». Ed Egli rispose Loro: «Perché mi cercavate? Non sapevate che Io devo occuparmi delle cose del Padre mio?». Ma essi non compresero ciò che aveva detto Loro. Scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava Loro sottomesso. Sua Madre custodiva tutte queste cose nel suo Cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e Grazia davanti a Dio e agli uomini. Parola del Signore.

RIFLETTIAMO

Il Figlio di Dio viene sulla terra per parlarci del Padre, per indicarci la via del Cielo, per donarci la sua Grazia e fare una nuova Alleanza con l’umanità.

Gesù, in molte circostanze precisa che Lui è vento per dare compimento all’Antico testamento. Infatti in molte occasioni prima di esprimere un concetto o precisare un insegnamento, afferma: “È stato detto…” (Lc 4,12). “Ma Io vi dico…” (Mt 5,22).

Giuseppe è stato un grande Uomo, non solo per la bontà. Grande per la sua capacità di attendere gli eventi quando si accorse che Maria era incinta e non vivevano ancora insieme. Dopo il comprensibile turbamento e la decisione di allontanarla senza comprometterla con accuse pubbliche, intervenne Dio e nel sogno comprese qual era la sua missione.

Fu Lui a ricevere il messaggio circa il Nome da porre a al Bambino: “Tu Lo chiamerai Gesù”. Anche gli avvisi riguardanti la protezione del Figlio: “Alzati, prendi con te il Bambino e sua Madre e fuggi in Egitto”. “Alzati, prendi con te il Bambino e sua Madre e và nel paese d’Israele”.

Gesù da Giuseppe imparò il mestiere, il modo di guadagnarsi la vita. E non avrà certo mancato di contraccambiarlo con l’ammirazione e l’affetto. Da Maria apprese la lingua, la cadenza e quei detti popolari pieni di saggezza che più tardi userà nella predicazione.

Fra Giuseppe e Maria c’era un santo affetto, spirito di servizio, comprensione e desiderio di rendersi felici reciprocamente.

Questa è la Famiglia ideale, il modello per ogni famiglia cristiana, e se si cominciano ad imitare le Loro virtù, diventa benedetta.

Bisogna conoscere i componenti della Santa Famiglia, ognuno è chiamato a meditare ogni giorno sul ruolo che deve svolgere, se padre, madre, figlio/a, e fissare lo sguardo interiore sul modello di riferimento e studiare le sue virtù, come parlava, come fare per rendere soprannaturale ogni opera.

Così è la Famiglia di Gesù: sacra, santa, esemplare, modello di virtù umane, disposta a compiere con perfezione la volontà di Dio.

Ogni casa cristiana deve essere a misura di quello di Nazareth: un luogo dove Dio possa essere presente, al centro dell’amore che tutti hanno l’uno verso l’altro. È così la nostra famiglia? Le riserviamo il tempo e l’attenzione che merita? Gesù è al centro? Ci dedichiamo generosamente agli altri?

Potendo scegliere, Dio Padre stabilì una Famiglia Santa, una Trinità terrena con suo Figlio che era anche Figlio di Maria.

Gesù volle iniziare la Redenzione del mondo nel seno di una famiglia semplice, normale. La prima realtà che Gesù ha santificato con la sua presenza è stata una famiglia. Nulla di straordinario accadde in quegli anni a Nazareth, dove Gesù trascorse la maggior parte della vita.

L’episodio del Vangelo di oggi bisogna valutarlo con attenzione e con un ragionamento che valuta le consuetudini osservate durante il pellegrinaggio a Gerusalemme. Si dividevano in tre gruppi: uomini, donne e bambini. Questa la ragione dell’allontanamento indisturbato di Gesù appena dodicenne, senza avvisare nessuno.

Valutiamo adesso alcune parole nel loro reale significato. La prima osservazione è la domanda della Madre: “Figlio, perché ci hai fatto questo? Ecco, tuo padre e Io, angosciati, Ti cercavamo”. Si comprende che la Vergine è impressionata e commossa perché Gesù mai aveva preso iniziative personali e l’allontanamento senza avvisarla è stata una sorpresa.

“…perché ci hai fatto questo?”. Qui c’è il quasi infinito amore della Madre di Dio verso l’unico interesse della sua vita: Dio!

La risposta di Gesù non viene interpretata correttamente da molti teologi, in essa vi trovano argomenti per sminuire la Maternità divina della Madonna e minimizzano il suo ruolo. “Perché mi cercavate? Non sapevate che Io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”.

Maria e Giuseppe sapevano molto bene che Gesù doveva occuparsi delle cose di suo Padre, ma non sapevano del suo allontanamento e la ricerca per alcuni giorni Li ha prostrati. Gesù vuole anche tranquillizzarli con la domanda “Perché mi cercavate?”. Secondo Lui non occorreva preoccuparsi del suo allontanamento perché non era solo un dodicenne, era l’Eterno in un Corpo di un dodicenne.

Se in questa risposta si nota una certa autonomia di Gesù dodicenne, subito dopo leggiamo che “scese dunque con loro e venne a Nazareth e stava Loro sottomesso”.  Questo grande equilibrio di Gesù, autonomia per volere del Padre e obbedienza alla Madre e a Giuseppe, ci deve far riflettere sulle opere che compiamo.

Lui agiva perfettamente perché era Dio, noi dobbiamo imitarlo nelle opere umane che ha compiuto e in ogni virtù praticata da Lui.

Chiediamo a Lui il suo Spirito Divino per compiere ogni opera nel modo e nei tempi giusti.

È molto importante il discernimento, la Luce interiore che ci indirizza verso la scelta migliore per compiere la volontà di Dio.

IV DOMENICA DI AVVENTO 2015 (ANNO C)

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A CHE COSA DEVO
CHE LA MADRE DEL MIO SIGNORE VENGA DA ME?

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Luca 1,39-45
In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore».

Rivelazione di Gesù a Maria Valtorta

Corrispondenza nell’“Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta
Volume 1 Capitolo 45 pagina 281

Sono in un luogo montagnoso. Non sono grandi monti ma neppur più colline. Hanno gioghi e insenature da vere montagne, quali se ne vedono sul nostro Appennino tosco-umbro. La vegetazione è folta e bella e vi è abbondanza di fresche acque, che mantengono verdi i pascoli e ubertosi i frutteti, che sono quasi tutti coltivati a meli, fichi e uva: intorno alle case questa.
La stagione deve essere primavera, perché i grappoli sono già grossetti, come chicchi di veccia, e i meli hanno già legati i fiori che ora paiono tante palline verdi verdi, e in cima ai rami dei fichi stanno i primi frutti ancora embrionali, ma già ben formati. I prati, poi, sono un vero tappeto soffice e dai mille colori. Su essi brucano le pecore, o riposano, macchie bianche sullo smeraldo dell’erba.
Maria sale, col suo ciuchino per una strada abbastanza in buono stato, che deve essere la via maestra. Sale, perché il paese, dall’aspetto abbastanza ordinato, è più in alto. Il mio interno ammonitore dice: “Questo luogo è Ebron”. Non so se sia “Ebron” tutta la zona o “Ebron” il paese.
Ecco che Maria entra nel paese. Delle donne sulle porte -è verso sera- osservano l’arrivo della forestiera e spettegolano fra di loro. La seguono con l’occhio e non hanno pace sinché non La vedono fermarsi davanti ad una delle più belle case, sita in mezzo del paese, con davanti un orto-giardino e dietro e intorno un ben tenuto frutteto, che poi prosegue in un vasto prato, che sale e scende per le sinuosità del monte e finisce in un bosco di alte piante, oltre il quale non so che ci sia.
Tutto è recinto da una siepe di more selvatiche o di rose selvatiche. Non distinguo bene, perché il fiore e la fronda di questi spinosi cespugli sono molto simili e, finché non c’è il frutto sui rami, è facile sbagliarsi. Sul davanti della casa, sul lato perciò che costeggia il paese, il luogo è cinto da un muretto bianco, su cui corrono dei rami di veri rosai, per ora senza fiori ma già pieni di bocci. Al centro un cancello di ferro, chiuso. Si capisce che è la casa di un notabile del paese e di persone benestanti, perché tutto in essa mostra, se non ricchezza e sfarzo, agiatezza certo. E molto ordine.
Maria scende dal ciuchino e si accosta al cancello. Guarda fra le sbarre. Non vede nessuno. Allora cerca di farsi sentire. Una donnetta, che più curiosa di tutte L’ha seguita, Le indica un bizzarro utensile che fa da campanello. Sono due pezzi di metallo messi a bilico di una specie di giogo, i quali, scuotendo il giogo con una fune, battono fra di loro col suono di una campana o di un gong.
Maria tira, ma così gentilmente che il suono è un lieve tintinnio, e nessuno lo sente.
Allora la donnetta, una vecchietta tutta naso e bazza e con una lingua che ne vale dieci messe insieme, si afferra alla fune e tira, tira, tira. Una suonata da far destare un morto.
“Si fa così, donna. Altrimenti come fate a farvi sentire? Sapete, Elisabetta è vecchia e vecchio Zaccaria. Ora poi è anche muto, oltre che sordo. Sono vecchi anche i due servi, sapete? Siete mai venuta? Conoscete Zaccaria? Siete…”.
A salvare Maria dal diluvio di notizie e di domande, spunta un vecchietto arrancante, che deve essere un giardiniere o un agricoltore, perché ha in mano un sarchiello e legata alla vita una roncola. Apre, e Maria entra ringraziando la donnetta, ma…. ahi! lasciandola senza risposta. Che delusione per la curiosa! Appena dentro, Maria dice:
“Sono Maria di Gioacchino e di Anna, di Nazareth. Cugina dei padroni vostri”.
Il vecchietto si inchina e saluta, e poi dà una voce, chiamando: “Sara! Sara!” e riapre il cancello per prendere il ciuchino rimasto fuori, perché Maria, per liberarsi della appiccicosa donnetta, è sgusciata dentro svelta svelta, e il giardiniere, svelto quanto Lei, ha chiuso il cancello sul naso della comare. E, intanto che fa passare il ciuco, dice:
“Ah! gran felicità e gran disgrazia a questa casa! Il Cielo ha concesso un figlio alla sterile, l’Altissimo ne sia benedetto! Ma Zaccaria è tornato, sette mesi or sono, da Gerusalemme, muto. Si fa intendere a cenni o scrivendo. L’avete forse saputo? La padrona mia vi ha tanto desiderata in questa gioia e in questo dolore! Sempre parlava con Sara di voi e diceva:
“Avessi la mia piccola Maria con me! Fosse ancora stata nel Tempio! Avrei mandato Zaccaria a prenderla. Ma ora il Signore L’ha voluta sposa a Giuseppe di Nazareth. Solo Lei poteva darmi conforto in questo dolore e pregare Dio, perché Ella è tutta buona. E nel Tempio tutti la rimpiangono.
La passata festa, quando andai con Zaccaria per l’ultima volta a Gerusalemme a ringraziare Iddio d’avermi dato un figlio, ho sentito le sue maestre dirmi:
“Il Tempio pare senza i cherubini della gloria da quando la voce di Maria non suona più fra queste mura”.
“Sara! Sara! È un poco sorda la donna mia. Ma vieni, vieni, ché ti conduco io”.
Invece di Sara, spunta sul sommo di una scala, che fiancheggia un lato della casa, una donna molto vecchiotta, già tutta rugosa e brizzolata intensamente nei capelli, che prima dovevano essere nerissimi perché ha nerissime anche le ciglia e le sopracciglia, e che fosse bruna lo denuncia il colore del volto. Contrasto strano con la palese vecchiezza è il suo stato già molto palese, nonostante le vesti ampie e sciolte.
Guarda facendosi solecchio con la mano. Riconosce Maria. Alza le braccia al cielo in un: “Oh!” stupito e gioioso, e si precipita, per quanto può, incontro a Maria. Anche Maria, che è sempre pacata nel muoversi, corre, ora, svelta come un cerbiatto, e giunge ai piedi della scala quando vi giunge anche Elisabetta, e Maria riceve sul cuore con viva espansione la sua cugina, che piange di gioia vedendola.
Stanno abbracciate un attimo e poi Elisabetta si stacca con un: “Ah!” misto di dolore e di gioia, e si porta le mani sul ventre ingrossato. China il viso impallidendo e arrossendo alternativamente. Maria e il servo stendono le mani per sostenerla, perché ella vacilla come se si sentisse male.
Ma Elisabetta, dopo esser stata un minuto come raccolta in sé, alza un volto talmente radioso che pare ringiovanito, guarda Maria sorridendo con venerazione come vedesse un Angelo, e poi si china in un profondo saluto dicendo:
“Benedetta tu fra tutte le donne! Benedetto il Frutto del tuo seno! (dice così: due frasi ben staccate). Come ho meritato che venga a me, tua serva, la Madre del mio Signore? Ecco, al suono della tua voce il bambino m’è balzato in seno come per giubilo e quando t’ho abbracciata lo Spirito del Signore mi ha detto altissime verità al cuore.
Te beata, perché hai creduto che a Dio fosse possibile anche ciò che non appare possibile ad umana mente!
Te benedetta, che per la tua Fede farai compiere le cose a Te predette dal Signore e predette dai Profeti per questo tempo!
Te benedetta, per la Salute che generi alla stirpe di Giacobbe!
Te benedetta, per aver portato la Santità al figlio mio che, lo sento, balza come un capretto festante, di giubilo, nel mio seno, perché si sente liberato dal peso della colpa, chiamato ad esser colui che precede, santificato prima della Redenzione dal Santo che cresce in Te!”.
Maria, con due lacrime che scendono come perle dagli occhi che ridono alla bocca che sorride, col volto levato al cielo e le braccia pure levate, nella posa che poi tante volte avrà il suo Gesù, esclama:
“L’anima mia magnifica il suo Signore” e continua il cantico così come è stato tramandato.
Alla fine al versetto: “Ha soccorso Israele suo servo, ecc.” raccoglie le mani sul petto e si inginocchia molto curva a terra, adorando Dio.
Il servo, che si era prudentemente eclissato quando aveva visto che Elisabetta non si sentiva male, ma che anzi confidava il suo pensiero a Maria, torna dal frutteto con un imponente vecchio tutto bianco nella barba e nei capelli, il quale con grandi gesti e suoni gutturali saluta di lontano Maria.
“Zaccaria giunge” dice Elisabetta, toccando sulla spalla la Vergine assorta in preghiera.
“Il mio Zaccaria è muto. Dio lo ha colpito per non aver creduto. Ti dirò poi. Ma ora spero nel perdono di Dio, poiché tu sei venuta. Tu, piena di Grazia”.
Maria si leva e va incontro a Zaccaria e si curva davanti a lui fino a terra, baciandogli il lembo della veste bianca che lo copre sino al suolo. È molto ampia, questa veste, e tenuta a posto alla vita da un alto gallone ricamato. Zaccaria, a gesti, dà il benvenuto e insieme raggiungono Elisabetta ed entrano tutti in una stanza terrena molto ben messa, nella quale fanno sedere Maria e le fanno servire una tazza di latte appena munto -ha ancora la spuma- e delle piccole focacce.
Elisabetta dà ordini alla servente, finalmente comparsa con le mani ancora impastate di farina e i capelli ancor più bianchi di quanto non siano per la farina che vi è sopra. Forse faceva il pane. Dà ordini anche al servo, che sento chiamare Samuele, perché porti il cofano di Maria in una camera che gli indica. Tutti i doveri di una padrona di casa verso la sua ospite.
Maria risponde intanto alle domande, che Zaccaria le fa scrivendole su una tavoletta cerata con uno stilo. Comprendo dalle risposte che egli Le chiede di Giuseppe e del come si trova sposata a lui. Ma comprendo anche che a Zaccaria è negata ogni luce soprannaturale circa lo stato di Maria e la sua condizione di Madre del Messia. È Elisabetta che, andando presso il suo uomo e posandogli con amore una mano sulla spalla, come per una casta carezza, gli dice:
“Maria è Madre Ella pure. Giubila per la sua felicità”.
Ma non dice altro. Guarda Maria. E Maria la guarda, ma non l’invita a dire di più, ed ella tace.

Estratto di “l’Evangelo come mi è stato rivelato” di Maria Valtorta

III DOMENICA DI AVVENTO (ANNO C) DOMENICA GAUDETE

1367022355456-Benito_ManuelE NOI CHE COSA DOBBIAMO FARE?

Dal Vangelo secondo Luca Lc 3,10-18

In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.
Parola del Signore.

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SANTA LUCIA VERGINE E MARTIRE

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SANTA LUCIA
VERGINE E MARTIRE

Lucia nacque a Siracusa nell’anno 281 da nobilissima e ricchissima famiglia. Rimasta orfana di padre sll’età di cinque anni venne educata nella religione cristiana dalla pia e saggia Eutichia, sua madre.

Fatta grandicella e accesa di puro amore di Dio, decise all’insaputa della madre di mantenere perpetua verginità. Ignorando questo segreto la buona Eutichia, come allora usavasi universalmente, non tardò d interessarsi per trovare alla figliuola uno sposo che convenisse. Era questi un giovane nobile, ricco e di buone qualità, però non cristiano. Lucia si turbò: ma non volendo manifestare il suo segreto alla madre, cercò pretesti per tramandare le nozze; ed intanto confidava nella preghiera e nella grazia.

Ed ecco quanto avvenne: Eutichia fu presa da una grave malattia, per cui non bastando né medici nè medicine, pér consiglio di Lucia, mamma e figlia decisero di portarsi in pellegrinaggio a Catania, alla tomba di S. Agata, per ottenere la guarigione.

Giunte a Catania, e prostratesi in preghiera presso quelle sacre reliquie, Agata fece intendere a Lucia di rimanere fedele al voto fatto e di contenere, se necessario, anche il martirio per amor di Gesù. La madre ottenne la guarigione, ma una grazia maggiore ebbe Lucia: il suo avvenire era irrevocabilmente deciso.

Tornate a Siracusa, Lucia si confidò con la madre ed ottenne che la lasciasse libera nella scelta del suo stato.

Il pretendente deluso, montò subito sulle furie e giurò vendetta, appena seppe che il rifiuto di Lucia proveniva dal fatto di essere cristiana. Si presentò quindi al proconsole romano Pascasio e accusò la giovane come seguace della religione cristiana e perciò ribelle agli dèi ed a Cesare. Tradotta davanti al proconsole, si svolse un dialogo drammatico, nel quale rifulsero la fermezza e costanza della martire. Neppur la forza valse a smuoverla, poiché Gesù rese impotenti i suoi nemici. Fu martirizzata il 13 dicembre del 304. La festa cade in prossimità del solstizio d’inverno (da cui il detto “santa Lucia il giorno più corto che ci sia”).

La salma fu posta nelle Catacombe, dove sei anni dopo sorse un maestoso tempio a lei dedicato.

Si dice che a S. Lucia venissero cavati gli occhi e che le fossero immediatamente restituiti dal Signore. Per questa ragione e per lo stesso suo nome che significa Luce, essa è invocata come protettrice degli occhi.

Recitiamo un atto di dolore per i nostri peccati. 

Esaudiscici, o Dio, nostro Salvatore, affinchè, come ci rallegriamo per la beata Lucia vergine e martire, così siamo ammaestrati nel’affetto della pia devozione.

II DOMENICA DI AVVENTO

seconda
DAL VANGELO DI GESÙ CRISTO SECONDO LUCA 3,1-6
Nell’anno decimoquinto dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetrarca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio scese su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Ed egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sia riempito, ogni monte e ogni colle sia abbassato; i passi tortuosi siano diritti; i luoghi impervi spianati. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio!